Il soldato

Il soldato sfuggito ai taleban. L’ex ufficiale dell’esercito afghano: «Avevo una vita felice a Kabul, gli islamisti ci hanno colto di sorpresa, impossibile tornare indietro. Testimonianza raccolta da Irene Famà per La Stampa del 25 agosto 2021. In ItalianaContemporanea il testo è rubricato nella pagina Afghanistan. Vent’anni dopo“.


«Scriva pure il mio nome e cognome». Ufficiale dell’esercito afghano, è addestrato a non farsi sopraffare dalla paura: «I’m not afraid. Questa è la mia storia e quella di tanti altri. Voglio raccontarla, il mondo deve sapere». Poi, all’improvviso, una pausa di qualche minuto, giusto il tempo di riflettere. «Forse è meglio l’anonimato. Io sono al sicuro, ma mio padre e mio fratello no. Anche loro nell’esercito: il primo è ufficiale, il secondo è pilota. Sono rimasti a Kabul e sono braccati dai talebani. Considerati nemici, traditori da trovare e giustiziare». Lui, ventisei anni, è riuscito a fuggire, a portare in salvo moglie e nipoti, a raggiungere l’Italia, il Piemonte, l’hub di accoglienza di Settimo, alle porte di Torino. Il resto della famiglia è ancora in Afghanistan, nascosta in rifugi di fortuna che cambia di ora in ora.

«Cinque giorni fa l’esercito italiano ci ha caricati su un aereo. In aeroporto era il caos. C’erano moltissime persone, qualcuno è stato anche ucciso dai talebani. Sparavano in aria e sulla gente, ci si spingeva l’uno contro l’altro per riuscire a passare, a mostrare i documenti, a imbarcarsi. Qualcuno si accasciava travolto dalla folla, qualcun altro sveniva dal caldo. In tanti sporgevano i bambini, i propri figli, ai militari. Quelle immagini sono impresse nella mia mente, insieme al sapore della polvere, alla vista annebbiata dal fumo, al rumore degli spari». Accolto con altri 93 profughi al Centro Fenoglio di Settimo, gestito dalla Croce Rossa, racconta la sua quotidianità prima della caduta di Kabul. «Avevo una vita felice, senza particolari problemi, svolgevo il mio lavoro e stavo con la mia famiglia. Sono un ufficiale dell’esercito. Per quattro anni ho frequentato l’accademia in India, poi sono tornato nel mio paese». L’arrivo dei talebani? «Inaspettato. Nessuno pensava che avrebbero conquistato tutte le province in così pochi giorni, che sarebbero arrivati a Kabul». Sulle responsabilità dell’Occidente preferisce non commentare. «Non saprei» dice. Con le organizzazioni internazionali, con l’esercito americano e italiano ha collaborato per anni «per migliorare tecniche e strategie. Sono stati anche attivati corsi di formazione per le forze afghane». Poi? «La situazione è precipitata e in un attimo tutto è stato stravolto». Descrive un popolo «sotto schock. Ciascuno cerca di salvare la propria famiglia. Come ho fatto io, anche se mio padre e mio fratello non sono riusciti a partire e sono ancora lì». Invece della divisa, indossa un t-shirt granata, pantaloni lunghi grigi, scarpe da ginnastica. Ma, militare da diversi anni, i suoi pensieri sono tutti rivolti a elaborare strategie per riuscire ad aiutare chi, dei suoi parenti, è ancora laggiù. «Devono riuscire a raggiungere l’Italia, solo qui saranno al sicuro. Quando riesco a contattarli al telefono, mi raccontano che i talebani vanno di casa in casa per cercare chi ha collaborato con le organizzazioni internazionali. Cercano chi era nell’esercito, chi lavorava come interprete. Loro, le loro famiglie, i loro amici, non risparmiano nessuno. Li cercano per arrestarli e ucciderli, arrivano di notte e li prelevano dalle loro abitazioni. Sono in possesso di documenti riservati con nomi, cognomi e indirizzi. Sanno tutto, chi collaborava e in che ambito. Li considerano colpevoli, traditori, nemici». Il nuovo volto dei talebani? «Non ci credo. Le cose non miglioreranno. Al contrario, la situazione peggiorerà di giorno in giorno. Girare per strada? Diventerà impensabile». Parole amare, per chi il suo paese l’ha sempre servito. E ancora più amara è la consapevolezza che in Afghanistan non farà più ritorno. «Penso al mio futuro e a quello della mia famiglia. Speriamo di poter rimanere in Italia. Trovare un lavoro, condurre una vita normale, in pace. Tornare indietro? Non sarà possibile». 

Ringraziamenti

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