Noi siamo disposti a usare la forza?

Noi siamo disposti a usare la forza? un commento di Domenico Quirico che esprime la dialettica pro-e-contro dei nostri pensieri nelle ore in cui occorre affrontare una grave problema: tale è per noi la guerra in Ucraina. Il testo è pubblicato su LaStampa del 26 febbraio 2022. Su ItalianaContemporanea questo testo è rubricato nella pagina “Ucraina“.


Il presidente ucraino ci chiede…

Il dilemma lo ha posto, anzi ce lo ha posto, il presidente ucraino Volodymir Zelensky. Forse perché il suo paesaggio quotidiano è ormai gonfio di battaglia, fragore, violenze e rischio. Non è più tempo di chiacchiere, ha detto, di promesse, di vi siamo vicini, di massime solidarietà eccetera. La domanda è: siete disposti a usare la forza per salvarci dai russi? I carri armati di Putin sono davanti al mio palazzo. Non esiste altro modo di aiutarci se non opporre alla forza una forza più grande. Tutto il resto è la via malsicura e ipocrita delle parole, è smercio da bottegai dell’umanesimo. 

Le vittime svelano la retorica

Le vittime hanno una straordinaria capacità di fare a pezzi la retorica. Due giorni di mischia e gli ucraini hanno capito che dietro le dichiarazioni di appoggio dell’Occidente che garantisce: attaccando voi hanno attaccato l’Europa, reagiremo perché Putin vuole in realtà umiliare le democrazie e la vostra sofferenza ci appartiene, c’era una riserva mentale. L’assenza cioè di un vincolo, di una clausola, un pezzo di carta che costringesse con irrimediabilità notarile questi alleati renitenti a diventarlo nella realtà dei fatti. Detto in parole semplici: la terza Guerra mondiale per fortuna non è ancora iniziata e non inizierà perché niente obbliga gli occidentali a rispettare le loro dichiarazioni roboanti perdendo la faccia. L’Ucraina resterà dunque un problema locale. Ma se il prossimo bersaglio nella putiniana riscrittura della storia fossero i baltici? Anche lì ci sono minoranze russe da brandire. Già. Ma i baltici sono nella Nato. Hanno una carta da spendere per obbligarci. 

Titolo?

I dispotismi, come i sistemi totalitari, impongono sempre la brutalità dei discorsi semplici, quelli delle risse tra bulli: che ruotano attorno alla forza. Quale prezzo siete disposti a pagare per trasformare la minaccia di punirci in forza, quanto siete disposti a pagare per fare anche voi la guerra? Dove inizia per voi un conflitto esistenzialmente necessario, che giudicate, a torto o a ragione, di sopravvivenza? Noi la guerra la facciamo. E voi? 

Zelensky lo sa dopo aver assistito, lui tra i sibili di sirene e di bombe, al placido dibattito occidentale sull’arma totale del «codice swift». Esige di sapere: noi ucraini, la nostra indipendenza che comprende anche le magagne ereditate gli errori commessi i vizi del nostro modo di essere, quanto valiamo? Un sistema di sanzioni più o meno «light» o ricorrerete anche voi, la Nato, l’Europa, alla forza per fermare il prepotente di turno al Cremlino? 

Zelensky gioca a carte scoperte perché non ha più tempo. Neppure l’occidente. Attenzione. Le insinuazioni piovono: questo è discorso da guerrafondai, si vuole forse l’Apocalisse? perché questa sarebbe una guerra vera, non quelle combattute dall’Occidente negli ultimi anni con poco rischio, raid di forze speciali, droni, elicotteri, mischie brevi con manipoli di fanatici armati di mitra e barricati in catapecchie. Sarebbe la guerra vera, totale, che assorbe tutto e coinvolge tutti. Con i morti, i prigionieri, incendio potenzialmente illimitato. Non più la dissuasione che serve da soffice cuscinetto alla pigrizia del pensiero, l’ora della verità non è la crisi internazionale ma la guerra con il terrore che si converte lentamente in ordine del mondo. 

Titolo?

È la carta di Putin e prima di lui di altri perturbatori dell’ordine del mondo che giudicano iniquo o sfavorevole alle loro mire. Tutto nasce dal disprezzo rancoroso per i sistemi democratici considerati avviliti, costituzionalmente deboli, storicamente in decadenza. Loro, gli autocrati, gli inventori delle democrazie leggere, ridotte alla buccia e svuotate del nocciolo ovvero il reciproco controllo dei poteri, sì che sanno usare i morti e la paura con la disinvoltura con cui i meccanici impugnano quegli arnesi multiuso con cui si può far tutto, pinza tenaglia cacciavite. E martello. Sono certi che l’Occidente non sia disposto a rinunciare ai propri comodi che considera l’unica giusta causa, si sia disabituato all’idea del sacrificio e della morte e che quindi sia sempre disposto a pagare la propria tranquillità e a mercanteggiare la pace. A costo di sacrificare quello che non considera indispensabile, la zavorra delle vittime, degli aggrediti, dei deboli. Per questi lettori inconsapevoli di Spengler, noi evitiamo il soggetto della guerra come coloro che non amano parlare delle proprie malattie. Si fatica a dar loro torto, se si scorre il lungo, recente elenco di chi abbiamo sacrificato alla vulnerabilità dei nostri interessi, dai cambogiani ai siriani e ai curdi e agli afgani. 

In realtà Putin sembra essersi avviato sullo schema dell’azzardo dei dittatori, il bluff, il giocar tutto su una mano per volta, contando sul fatto che l’avversario intimorito non chieda di vedere quanto valgono davvero le sue carte. 

Basta rileggere la storia degli anni trenta in Europa. Il primo test per Hitler fu l’Austria. Colpo riuscito. Le potenze democratiche non chiedevano altro che voltar gli occhi da un’altra parte. In fondo era un boccone piccolo. Poi provò a giocare con una posta un poco più alta, la Cecoslovacchia: uno stato che non esiste… una invenzione di Versailles… diceva con disprezzo l’imbianchino diventato signore della guerra. Non sono definizioni che avete sentito qualche giorno fa….che ronzano di nuovo tra noi come mosche sul tavolo? E poi c’erano le minoranze tedesche dei Sudeti che la propaganda tedesca definiva «vittime di genocidio», che non chiedevano altro che tornare alla madrepatria perduta. Chissà se i russi vi hanno tratto spunto per i ribelli del Donbass… Quella volta fu più complicato. I generali del Terzo Reich aspirante a divenir millenario ebbero i brividi, certi che il bluff non avrebbe funzionato e Francia e Gran Bretagna li avrebbero fatti a pezzi. E invece fu Monaco. Che ancora ci pesa come memoria e onta. Poi la Polonia. Il boccone era grande, così grande che Hitler trovò prudente dividerlo con un altro commensale, l’uomo d’acciaio, Stalin: metà per uno, in buona amicizia. Come se Putin dicesse alla Cina: a me la Ucraina a te Taiwan. Chissà… 

Quella volta calcolò male: con la Polonia c’era in mezzo un impegno, l’obbligo occidentale di intervenire in difesa con le navi e gli eserciti. La Gran Bretagna (la Francia molto a malincuore non aveva nessuna affezione così onerosa per i polacchi), scelse la guerra.

Guida alla lettura

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