Neuroscienza del racconto

La narrazione è la forma tipica della comunicazione umana. Romanzi, film e saggistica divulgativa seguono le stesse leggi mentali. Questo articolo divulgativo di Piero Bianucci, pubblicato su La Stampa del 20 giugno 2022 tratta il tema del neuro-storytelling, dalla moda dei TED agli avatar del Metaverso.

In ItalianaContemporanea il testo è pubblicato nella pagina “Scienza“. Il testo consta di 1.326 parole e alla lettura richiede circa 6 minuti.


Gli umani sono animali narratori. Parlare per racconti è un istinto della nostra specie, ma con il procedere dell’evoluzione l’arte di raccontare è diventata una scienza, tanto più quando la scienza stessa diventa il contenuto della narrazione. Come si parla di neuro-estetica e di neuro-economia, è venuto il momento di parlare di neuro-narrativa e di neuro-comunicazione. Dunque il discorso che faremo riguarda sia i romanzieri sia i divulgatori.

Da Omero al web
Che ci sia una tecnica del racconto lo sapeva già Omero. E’ recente, invece, la scoperta che dietro la dinamica che si instaura tra chi scrive e chi legge – si tratti di una storia inventata o un saggio di cosmologia – si nascondono meccanismi oggi indagati dalle neuroscienze. Frank Rose (nella foto), direttore del seminario in Strategic Storytelling alla Columbia University di New York, è forse il più lucido analista di come le “storie” agiscano sul cervello e Codice Edizioni ha appena pubblicato il suo saggio “Il mare in cui nuotiamo” (293 pagine, 25 euro), naturale sviluppo del precedente “Immersi nelle storie. Il mestiere di raccontare nell’era di Internet” uscito nel 2013 (Codice, 286 pagine, 25 euro).

Nell’intermezzo temporale tra questi due titoli, si è inserito “La scienza dello storytelling. Come le storie incantano il cervello” di Will Storr, giornalista inglese che tiene corsi di scrittura creativa (2020, Codice, 250 pagine, 24 euro), un testo focalizzato sugli ingranaggi cerebrali messi in moto dalla narrazione. Dove questa parola va intesa nel senso più ampio: è narrazione un romanzo, ma anche un film, uno spot pubblicitario, un messaggio di Facebook, un twitt, un videogioco, un articolo di giornale, un saggio divulgativo sulla meccanica quantistica e – perché no? – un prodotto commerciale, un’azienda, un partito politico. Insomma, tutto ciò che per essere comunicato si presta a diventare una storia. Del resto neuro-pubblicità e neuro-propaganda politica sono neologismi che indicano realtà antiche.

Vladimir Propp (1895-1970) analizzando la struttura delle fiabe russe ha messo in evidenza come tutte le storie seguano uno schema ricorrente. C’è un protagonista (buono o cattivo), c’è un antagonista, talvolta interviene un tradimento che rovescia i loro ruoli, c’è una crisi o una prova da superare nella quale uno dei due personaggi principali soccombe e infine c’è un epilogo (positivo o negativo) che scioglie la tensione.

Tra ragione ed emozione
“Le questioni sono due” – scrive Frank Rose nella prefazione al suo ultimo libro. “Una è l’affermazione che le storie ci offrono degli schemi che ci confortano aiutandoci a portare ordine nel caos. L’altra ha a che vedere con la parola animale. L’atto della narrazione potrà anche essere squisitamente umano, ma le storie sono frutto dei nostri istinti animali. Hanno poco a che vedere con la ragione, ma tanto, anzi, tutto con l’emozione”. Certo, negli umani la ragione “è sempre stata un obiettivo da raggiungere”, e il risultato si vede nei mille prodotti della scienza e della tecnologia. Ma rimane il fatto che con il dualismo emozione/ragione dobbiamo fare i conti anche quando si tratta di divulgazione. E infatti la divulgazione più efficace presenta la ricerca scientifica come una caccia al colpevole in un racconto poliziesco, si avvale di aneddoti divertenti, valorizza gli aspetti biografici curiosi, enfatizza distanze, dimensioni, velocità e tempi che colpiscono la fantasia perché lontanissimi dalla quotidianità.

Fin qui tutto normale. Siamo al livello di autori come Flammarion, Fabre, Asimov, Paolo Maffei, il Nobel Emilio Segré quando scrive la “biografia” della fisica classica e moderna, Piero Angela se parliamo di televisione: per loro l’emozione è uno strumento subordinato al messaggio razionale che si vuole trasmettere. Ma negli ultimi anni l‘emozione ha preso sempre più spazio, prima nei titoli dei giornali e dei libri, poi nelle conferenze, nelle mostre interattive, nel web.

Le nuove forme del divulgare
Approdata all’infosfera contemporanea, la divulgazione ha assunto le nuove forme (format) dei TED, dei blog, dei twitt (il primo annuncio delle onde gravitazionali venne da un twitt), del teatro narrativo, dei video su Youtube. Emerge e prospera lo storytelling scientifico e non, chi lo pratica si professionalizza, assume un suo birignao, posture, ammiccamenti, diventa ospite fisso di programmi tv (pensate a Stefano Massini). E questi divulgatori-scrittori-registi-attori somigliano sempre più a “influencer”. Non importa che cosa si dice, conta dirlo bene, essere disinvolti, fare i piacioni, vendere con efficacia il proprio prodotto.

Il successo, l’evoluzione e il declino dei nuovi generi sono così rapidi che è difficile seguirli. Il TED è un caso da manuale. La sigla sta per Technology Entertainment Design. Nasce nel 1984 da una idea di Richard Saul Wurman e Harry Marks, che poi abbandoneranno la loro creatura. All’inizio si trattava di un singolo evento nel quale l’oratore raccontava qualcosa in modo accattivante nel campo della tecnologia. Poi i TED si sono trasformati in una rassegna annuale nella quale gli specialisti del genere gareggiano, un vero e proprio spettacolo: i concorrenti pagano per partecipare, il pubblico per assistere. Insomma, un affare.

Nella scia di personaggi come l’ex presidente americano Clinton, i premi Nobel Watson e Gell-Mann e i fondatori di Microsoft, Google, Wikipedia, sfilano sui palcoscenici e davanti alle telecamere sconosciuti ambiziosi che hanno provato davanti allo specchio e replicano a memoria sempre più meccanicamente lo stesso discorsetto. Il virus del TED muta nella variante autonoma ancora più contagiosa del TEDx. Le televisioni rilanciano i talk di maggior successo, Youtube ne straripa, si arriva a miliardi e miliardi di visualizzazioni in tutto il mondo. Ricercatori mediocri si riciclano nella comunicazione della scienza. L’applauso vale più di un dottorato.

Sospensione dell’incredulità
Will Storr fin dalle prime pagine del suo libro chiarisce che lo storytelling comporta la “sospensione dell’incredulità”. E’ una osservazione cruciale: per questo le religioni possono parlare di angeli e diavoli, apparizioni e miracoli, Omero di eroi e divinità dal comportamento improbabile, i poeti di ippogrifi, Tolkien degli Hobbit, la Rowling del maghetto Harry Potter e in “Star Wars” siamo disposti ad ascoltare senza battere ciglio un personaggio che si vanta di “aver percorso la rotta di Kessel in meno di dodici parsec”, frase totalmente priva di senso perché non esiste alcuna rotta di Kessel e il parsec non è una misura di tempo ma la distanza dalla quale il raggio dell’orbita terrestre sottende l’angolo di un secondo d’arco.

In estrema sintesi, Will Store e Frank Rose ci insegnano i trucchi e le tecniche del racconto. I loro libri sono manuali su come scrivere un romanzo, un discorso, la sceneggiatura di un videogioco o uno spot pubblicitario, ma tra le righe, e talvolta esplicitamente, ci spiegano anche come quei trucchi e quelle tecniche ingannino la nostra mente di animali narratori.

Racconti che plasmano il cervello
Leggiamo con l’emisfero sinistro del cervello, quello razionale, dove si trovano le aree del linguaggio scoperte da Broca e da Wernicke, ma ci muoviamo nello spazio narrativo con l’emisfero destro, quello immaginifico, emotivo, artistico. E sotto la corteccia dei due emisferi si annidano le parti più segrete del cervello: l’ippocampo, a cui è affidato l’orientamento spaziale e nel quale avviene lo smistamento dei ricordi che formano la nostra memoria episodica; l’amigdala, sede del fondamentale sentimento della paura; il sistema limbico, importante per le emozioni e l’apprendimento; il talamo, che partecipa al funzionamento dei sistemi sensoriali (olfatto escluso), è coinvolto nei movimenti volontari del corpo e con l’ipotalamo regola il ciclo sonno-veglia; il tronco encefalico, la parte più primitiva del cervello che smista i segnali nervosi. Sfruttando la plasticità cerebrale, le narrazioni modificano e riconfigurano le nostre connessioni (sinapsi) tra i neuroni, ridisegnano il nostro “connettoma”.

Non è tutto. Andiamo verso forme di divulgazione rispetto alle quali quelle ora diffuse nel web e nei social fanno tenerezza. Nel prossimo futuro la divulgazione scientifica forse migrerà in un mondo virtuale dove l’avatar del vecchio “lettore” si muove liberamente (in apparenza, in realtà guidato da algoritmi), incontra scienziati e finanziatori della ricerca, entra ed esce da laboratori, interagisce con i protagonisti delle scoperte e con altri “avatar lettori”: un grande videogioco scientifico-didattico che potrebbe già realizzarsi nel Metaverso di Facebook. Vi entusiasma o vi preoccupa?

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