Nelle strade di Aleppo sotto assedio. Una cronaca giornalistica da Aleppo bombardata. La Repubblica del 12-8-2016 dall’inviato Pietro Del Re.
Su italianaContemporanea il testo è rubricato in Guerra. Pagina storica.
Nelle strade di Aleppo sotto assedio: “Bombe sugli ospedali, siamo allo stremo”. Viaggio in una città fantasma, fra scoppi, macerie e nubi di fumo. La tregua è saltata. Mentre l’Onu indaga sull’uso di armi chimiche da parte di Assad.
ALEPPO – L’accesso agli assediati dei quartieri orientali passa attraverso una strada stretta tra palazzi alti dieci piani, dei quali i recenti combattimenti hanno risparmiato soltanto lo scheletro di cemento. Il convoglio umanitario di camion carichi di cibo su cui viaggiamo procede lentamente: la carreggiata è a tratti liscia come un tavolo da biliardo.
Ma più spesso la troviamo ingombra di ogni sorta di detriti, con buche che s’aprono sotto la scocca, profonde come tombe. Sulle fiancate e sul tetto dei mezzi è stata dipinta una grande mezzaluna rossa nella scaramantica speranza di guadagnarsi una qualsivoglia immunità.
Sono le 9 del mattino e il termometro già segna 40 gradi. Da più di mezzora non incrociamo nessuno, né a piedi né in auto, perché fino a sabato scorso in questo tratto del sud di Aleppo s’è combattuta una battaglia che ha fatto più di mille morti. E se ora i cannoni tacciono, tutti sanno che la tregua sarà breve. “L’assedio è stato rotto dai diversi gruppi della rivolta, compresi gli islamisti, che hanno risposto all’appello lanciato dall’Esercito libero siriano. Bisognava aprire un valico per portare rifornimenti ai 300mila civili intrappolati dal 7 luglio dalle forze del regime. La controffensiva è stata vittoriosa, ma sarà difficile mantenere le posizioni appena riconquistate, perché Damasco sta ammassando truppe a pochi chilometri da qui, e a dargli manforte sono in arrivo gli Hezbollah libanesi e le milizie sciite iraniane, le stesse che guerreggiano in Iraq. Senza contare che, spalleggiati dai caccia di Mosca, i lealisti hanno sempre la supremazia dei cieli”, spiega il giovane che c’è seduto accanto e che tiene una piccola telecamera con cui vorrebbe riprendere ogni rudere. Si chiama Salim, ed è un reporter del network dell’opposizione siriana Halab news .
Bombe al cloro e barili esplosivi.
Il rumore dei camion copre quello dei Mig 21 russi e quello delle loro bombe sganciate con agghiacciante regolarità sui quartieri controllati dai ribelli, che sono appunto quelli dove stiamo entrando. C’è chi denuncia l’uso, da parte delle forze governative sostenute da Mosca, di bombe a grappolo. Ma anche al cloro, tanto che l’Onu indaga e l’inviato in Siria, Staffan de Mistura, ha affermato che se confermato rappresenterebbe “un crimine di guerra”. Così come Amnesty International che dice di aver avuto conferma del “ricovero di almeno 60 persone, con sintomi caratteristici di un attacco col cloro”.
L’aleppino Salim sostiene che con il tempo la popolazione si sia fatalisticamente abituata al rombo mortifero dei reattori dei caccia. Compito impossibile per noi, tanto più che ogni volta che s’apre l’orizzonte vediamo, più o meno lontane, alzarsi le grosse nubi di fumo e polvere provocate dalle deflagrazioni. Evidentemente la parziale cessazione dei raid aerei annunciata dalla Russia non è ancora entrata in vigore. “Diverso è quando in cielo si materializzano gli elicotteri da combattimento di Damasco perché in quel caso riesci facilmente a vedere i barili di esplosivo che lasciano cadere dall’alto e hai una ventina di secondi di tempo per allontanarti e forse salvarti la vita”, dice ancora il giovane reporter.
La città inanimata.
Quando giungiamo davanti a un ampio spiazzo dove i razzi hanno interamente abbattuto i caseggiati prima di ararne le macerie, il veicolo in testa al convoglio piega a destra e poco dopo si ferma. Dalla breccia nell’assedio lealista aperta la settimana scorsa avremo percorso sì e no un chilometro. Troppo pericoloso addentrarsi ulteriormente. Fanno da sfondo a questo rione che non c’è più case che sembrano ciclopiche sculture d’arte povera, con edifici geometricamente adagiati su un lato oppure tranciati a metà con precisione chirurgica. Anche qui Aleppo ha l’aspetto di una città inanimata. Passati pochi minuti, però, cominciano ad affacciarsi i primi sopravvissuti a settimane di stenti assoluti. E piano piano verso i camion si forma una lenta processione di uomini, donne, anziani e bambini che per ore erano rimasti acquattati tra i ruderi delle case ferite, in attesa dell’arrivo degli aiuti. Ben presto attorno ai quattro veicoli si crea una folla di almeno trecento persone: sono smagrite, silenziose e sorprendentemente composte. Salim mi spiega che martedì scorso, quando un gruppo di volontari della vicina città di Idlib, a ovest di Aleppo, anch’essa sotto controllo dei rivoltosi, ha deciso di organizzare questo convoglio, le famiglie sotto assedio sono state allertate tramite il cellulare e le radio libere. “Non erano certi di riuscire penetrare nel settore orientale della città, ma hanno comunque deciso di lanciare il messaggio chiedendo agli affamati di resistere ancora pochi giorni perché gli aiuti alimentari sarebbero comunque arrivati”.
È ordinata anche la distribuzione degli aiuti, che consistono in cetrioli, peperoni, pomodori freschi ma anche fagioli, ceci, riso, latte, pane in cassetta, tè, sapone, aspirina e assorbenti sistemati in scatoloni di cartone.
Ogni tanto, oltre ai boati delle esplosioni, si sente crepitare qualche mitraglia, senza che nessuno se ne preoccupi. Per i padri di famiglia e le casalinghe che aspettano pazientemente il loro pacco, dopo aver attraversato chissà quanti check-point e chissà quante insidie per venirlo a ritirare, la sola preoccupazione è di non morire di fame. Tra chi dà e chi riceve sembra esserci un senso di fratellanza: gli abitanti di Idlib hanno infatti sofferto e ancora soffrono i medesimi guai di questa gente, gli stessi digiuni forzati sotto bombardamenti costanti. Come del resto tutti gli aleppini, compresi quelli che vivono nei quartieri governati dal regime, da giorni anch’essi privati d’acqua potabile perché impianti idrici e condotte sono stati distrutti da bombe occasionali o mirate. La sete può fare tante vittime quante il fuoco nemico.
Ospedali sotto attacco.
Nei settori orientali l’aggravante è la mancanza di gas e benzina per bollire l’acqua sporca, il che crea un alto rischio di epidemie, soprattutto per i bambini. “Aleppo è una vasta metropoli che contava nove ospedali. Ebbene sono stati tutti colpiti dai raid russi e dell’aviazione del regime. L’ultimo bombardato è quello pediatrico, distrutto pochi giorni fa. Il che significa che ora in tutta la città non c’è più un solo blocco per la chirurgia infantile”, si lamenta Salim, che spiega così la richiesta di aiuto lanciata a Obama da quei medici che sono eroicamente rimasti a lavorare in questo inferno. “Uno di loro mi ha raccontato una storia straziante. Tre settimane fa s’era presentato al suo ospedale un bimbo di 7 anni con in braccio il fratellino di 3 gravemente ferito dalla scheggia di una granata. Ma il piccolino è morto mezz’ora dopo il suo ricovero. E in lacrime il medico m’ha detto che ha dovuto riconsegnare il corpicino del bimbo a suo fratello, che se l’è portato via tenendolo stretto al cuore”.
Bastano due ore a svuotare i camion e pochi minuti a far ritrovare allo spiazzo dove ci siamo fermati il suo aspetto spettrale. Riprendiamo in fretta la strada del ritorno e passando accanto a una base militare del regime, in località Ramussa, Selim mi spiega che senza la sua conquista da parte dei ribelli l’assedio non sarebbe stato rotto. “E lo sa come l’hanno espugnata? Con i kamikaze. Era la sola arma sufficientemente potente per farlo di cui disponeva la rivolta. Per consentire a questi camion di portare cibo a una popolazione affamata, trenta ragazzi si sono così sacrificati, diventando armi loro stessi”, aggiunge il reporter sputando dal finestrino.
Ultimo aggiornamento 30 Settembre 2022